[Graphic work by Andrea Seganfreddo https://aseganfreddo.carrd.co/]
Le plastiche si decompongono molto lentamente nell’ambiente, rappresentando un grave pericolo per diversi ecosistemi naturali, soprattutto quelli marini. Secondo l’Agenzia di protezione ambientale degli Stati Uniti, solo nel 2020, sono state disperse in ambienti acquatici circa 34 milioni di tonnellate di plastica. Questo fenomeno è stato rinominato da movimenti ambientalisti cinesi degli anni ‘90 come “inquinamento bianco“. Esso consiste nella dispersione di residui plastici negli ambienti di terra e mare, ed è responsabile di diversi effetti negativi su di essi, come quelli sugli habitat marini.
Questo inquinamento ha un forte impatto anche sulle persone e sull’ambiente nel suo complesso. Recentemente, sono stati condotti studi sugli effetti dannosi delle microplastiche presenti nell’acqua e negli alimenti che ingeriamo quotidianamente, senza accorgercene, i quali possono aumentare il rischio di infiammazione. Per quanto riguarda l’impatto complessivo, il problema non riguarda solo l’inquinamento causato dalla plastica come prodotto finito, ma anche quello generato lungo l’intera catena di produzione. La maggior parte delle plastiche viene infatti prodotta utilizzando materiali sintetici derivati dal petrolio, con un impatto ambientale associato alla combustione di carbon fossile.
Riciclare non basta
Il problema si complica ulteriormente, come evidenziato nella nostra infografica, a causa della crescente domanda di plastica, principalmente dovuta all’aumento della popolazione globale. Con il generalizzato miglioramento delle condizioni di vita, sempre più persone hanno la possibilità economica di investire nell’imballaggio dei prodotti. Le proprietà della plastica, come la sua resistenza e durabilità, unite al basso costo di produzione, la rendono il materiale più economicamente efficiente per questo scopo. Questi fattori combinati contribuiscono alla crescita della domanda e della produzione di plastica.
Il settore maggiormente responsabile è quello dell’imballaggio. Esso occupa una percentuale del 40% della quota complessiva, seguito dal settore edilizio e delle costruzioni (20%), automobilistico (10%), dell’elettronica (6%), sport e elettrodomestici (4%).
Purtroppo, della grande quantità di plastica prodotta, solo una piccola percentuale può essere riciclata. Nel 2019, si è stimato che soltanto il 9% dell’intera produzione di plastica è stato riciclato con successo. In un recente articolo pubblicato sull’Arabian Journal for Science and Engineering, la ricercatrice Yukta Arora, con i suoi colleghi della Scuola di Bioingegneria e Bioscienze dell’Università di Phagwara, in India, hanno messo in luce diversi fattori che contribuiscono a questo dato: l’elevato costo dello smaltimento, la perdita delle proprietà dei materiali plastici, la mancanza di infrastrutture per lo smaltimento e la separazione dei rifiuti plastici, nonché la scarsa attenzione rivolta al riciclaggio [7]. Pertanto, il riciclaggio da solo non è una strategia sufficiente per affrontare gli impatti ambientali negativi della produzione di plastica.
La situazione è critica: da un lato aumenta la domanda e la produzione di plastica per l’imballaggio con effetti negativi sull’ambiente, dall’altro il riciclaggio non è un metodo sufficientemente economico ed efficace per contrastare questi effetti negativi. Che cosa possiamo fare? Una possibile soluzione viene dal mare: le bioplastiche derivate da alghe.
Bioplastiche dalle alghe
A partire dalla fine del XIX secolo, sono state studiate e sviluppate diverse bioplastiche. La maggior parte di queste soluzioni si basava sull’utilizzo di risorse agroalimentari di origine vegetale, come gli scarti di mais, prezzemolo, gambi di spinaci, bucce di riso, etc. Questi prodotti, sebbene pensati per risolvere il problema delle plastiche sintetiche, presentano anch’essi dei limiti, come l’impatto ambientale derivante dalla produzione delle materie prime utilizzate, che richiedono notevoli quantità di acqua.
La nuova alternativa sia alle bioplastiche di vecchia generazione, che alle plastiche sintetiche sono le bioplastiche prodotte a partire dalle alghe. I vantaggi nell’utilizzare le alghe invece del petrolio come materiale grezzo sono molteplici. La loro produzione non richiede nutrienti aggiuntivi, catturano anidride carbonica, sono in grado di crescere in grande quantità in ambienti ostili, ad alte come a basse temperature. Inoltre, le specie invasive di alghe possono essere raccolte e utilizzate per la produzione di plastica. Grazie a queste proprietà, la produzione di bioplastiche dalle alghe è entrata al centro di progetti di finanziamento europei come la EU Blue Economy strategy, parte del Green Deal and Recovery Plan iniziato nel 2022 [9].
Un’applicazione delle bioplastiche derivate da alghe è nell’industria dell’imballaggio. Negli ultimi anni, oltre le ricerche in laboratorio, stanno nascendo diverse start up e aziende che applicano questa tecnologia per lo sviluppo di prodotti innovativi, volti a soddisfare la domanda di plastica con prodotti più sostenibili e meno impattanti a livello ambientale.
Un esempio virtuoso di queste nuove aziende è Notpla. Fondata nel 2014 da Rodrigo Garcia Gonzalez and Pierre Paslier, allora studenti di design e architettura all’Imperial College di Londra, nasce con l’intento di trovare soluzioni innovative per combattere la plastica monouso di origine sintetica. Il team interdisciplinare ha sviluppato il materiale Notpla, da cui il nome dell’azienda, un derivato dalle alghe marroni. Queste alghe, crescendo fino a un metro al giorno, senza bisogno di acqua dolce né fertilizzanti, sono particolarmente adatte per una produzione su larga scala. Il vantaggio di questo materiale, oltre che nel basso impatto ambientale della catena di produzione, è proprio la velocità con cui si disperde nell’ambiente. Notpla, infatti, si biodegrada naturalmente in circa 4-6 settimane.
Un esempio dei prodotti di Notpla è Ooho, un contenitore di liquidi pensato per una varietà di applicazioni: contenitore di acqua monodose per lo sport, contenitore di salse per il servizio al tavolo dei ristoranti. Nota bene, non è ingeribile, ma è pensato per essere messo in bocca in un sol boccone, e poi buttato nell’organico, come una buccia di frutta.
Una via di uscita: più bioplastiche
La domanda globale di plastica aumenterà costantemente nei prossimi anni e il riciclaggio non è sufficiente per ridurre l’impatto ambientale della dispersione e produzione di plastica per l’imballaggio. Per risolvere il problema non si può sperare che la domanda di plastica diminuisca, bensì bisogna offrire dei prodotti più sostenibili, come le bioplastiche derivate dalle alghe. Start up come Notpla stanno lavorando in questa direzione. Sembra un paradosso, ma per risolvere il problema della plastica, abbiamo bisogno di più plastica; di bioplastica.

Dopo aver studiato al conservatorio A. Pedrollo di Vicenza, consegue la laurea magistrale in Scienze Filosofiche presso l’Università di Padova. Si occupa di filosofia della biologia e comunicazione scientifica. È un appassionato di field recording.


